Quel ponte che aveva sempre destato in me tanto stupore quando ero piccola, in quel momento risvegliava solo una latente malinconia. Quei momenti erano andati e non mi sarebbero stati mai restituiti. Restituire, poi, che verbo inadatto. Come se qualcuno avesse preso il mio tempo dimenticando di ridarlo a me, al legittimo proprietario. Come se non fossi stata io a lasciarmelo sfuggire tra le mani. E quello che più mi faceva rabbia era che sapevo che come dopo ogni riflessione sul tempo che passa, non avrei fatto nulla. Quante volte in un libro, in un film, o più drammaticamente nella vita vera, un evento tragico mi aveva sbattuto in faccia lo scorrere del tempo, quante volte mi ero ripromessa di cambiare le cose, quante volte poi non era cambiato nulla perché non ero cambiata io? Ed è davvero necessario un evento tragico per indurci al cambiamento?
Avrei voluto che passato il ponte una nuova determinazione prendesse vita in me e invece già sapevo che non sarebbe successo nulla e se è così che ero non è così che volevo essere.
Se è così che sono, non è così che voglio essere.
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