lunedì 29 febbraio 2016

Un due tre quattro cinque sei sette otto.
Cerco di sbirciare nello specchio per controllare che la posizione sia quella corretta, che le linee siano quelle giuste, ma il gesto stesso di voltarmi rompe per un istante la magia che si era creata.
Uno due tre quattro cinque sei sette otto.
Le braccia, non sto facendo abbastanza attenzione alle braccia, mi sto concentrando solo sulle gambe, che siano ben tese. Cerco di controllare meglio il movimento, impongo dolci comandi a ogni mio muscolo fino alla punta delle dita, il mio corpo obbedisce pronto. Forse sto spezzando un po' troppo i polsi, cerco di correggere il tiro, port de bras e intanto premo ancora un po' sul collo del piede, che le punte siano ben tese. Torno in quinta posizione e mi rivolgo nuovamente allo specchio.
Ripenso a quello che mi hai detto ieri, che sono sempre troppo composta, che chiedo sempre troppo da me, che non sono in grado di accettare i miei errori. Sei un essere umano anche tu, mi hai detto, capita a tutti di sbagliare, bisogna farsene una ragione.
Non è così facile e forse lo capiresti se avessi passato tutta una vita a fissare la tua immagine riflessa nello specchio, a provare e riprovare per ore e ore gli stessi passi, imparando la tecnica, memorizzando le sequenze e poi perfezionando istante dopo istante ogni singolo movimento e ogni singola pausa - perché sono così importanti le pause, quei momenti in cui sei immobile e gli occhi del pubblico sono su di te, pronti a cogliere ogni minima imperfezione.
Uno due tre quatto cinque sei sette otto.
Mezza punta, punta, torno a muovermi lentamente immaginando la musica nella mia mente e penso che forse è un giudice ancora più severo del pubblico a scrutarmi dallo specchio. Mi mordo appena il labbro nello sforzo di un salto che dovrebbe essere più leggero e mi impongo di sorridere appena, perché chi mi guarderò non dovrà cogliere dolore o fatica.
Non è così facile, quello che mi chiedi. Posso perdonare i tuoi errori, per i miei non è così facile.

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